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Abitare il piemontese: la parola della settimana è Merica

Significa: America, Sud America; altrove; destinazione migratoria del Novecento

Beppe Fenoglio 22, ultimo capitolo “Una questione privata”, gli appuntamenti dal 20 al 26 febbraio
Paolo Tibaldi

ABITARE IL PIEMONTESE Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, andé ‘n Merica voleva dire emigrare all’estero, ovunque ci fosse lavoro e possibilità di far fortuna. La migrazione fu necessaria per smarcarsi dalle piaghe che misero in ginocchio la civiltà rurale piemontese in Malora: la fillossera, la peronospora e l’oidio, senza contare l’aleatorietà metereologica. Il fenomeno sociale fu capillare in tutto il Piemonte: pianura, montagna, Langhe e Roero. Merica significava speranza. Merica è un’epopea della povertà, complessa e ramificata di una civiltà piemontese costretta all’esilio involontario. «Chi non emigrava non era gente», sostenne Nuto Revelli.

Con il tempo la parola Merica è servita soprattutto per indicare l’Argentina dove, nel censimento del primo trentennio del Novecento si contavano due milioni di piemontesi. Quasi tutti contadini arrivati con i bastimenti, riuscirono a imporre la propria lingua persino ai pochi autoctoni. Una lettera riemersa da alcuni documenti si conclude così: «…il piemontese è la lingua della Pampa Gringa»!

Nelle pubblicazioni del compianto Donato Bosca su questo tema, echeggiano voci che parlano di andate e ritorni, di sogni e radici, di rare vittorie e ripetute sconfitte. Dai cosiddetti migranti-rondine, fino alla resa definitiva: interi paesi spopolati da persone che se ne vanno per stabilirsi in questo altrove chiamato Merica. Un’altra lettera recita così: «Carissimo babbo, un abacio speciale a voi, la mamma e l’Aldo, e li direte che un qualche giorno verrò a trovarlo e che i soldi che ha nella scattola che li tenga da conto per comperare un crin o delle scarpe. Nei cimiteri di campagna sembra di essere in Piemonte».

Le forze attrattive erano la speranza di trovare migliori condizioni di vita per sé e i figli, le lettere di altri emigranti (magari parenti) che mandavano anche denaro, le propagande delle compagnie di navigazione e lo sviluppo di comunità piemontesi nei luoghi di destinazione. Ancora oggi in alcune località dell’altra parte del mondo, vi sono consolidate comunità piemontesi che si riuniscono regolarmente nel nome delle proprie radici. Sono in contatto con alcune: puntuali lettori della rubrica, perfettamente aggiornati sul Piemonte e la lingua piemotese. La loro parlata fedele a quella d’inizio Novecento, appresa da genitori e nonni, custodisce un’essenza speciale, rappresentando un cruciale snodo storico.

Paolo Tibaldi

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