L’assessore albese al lavoro Olindo Cervella è anche imprenditore e presidente di Apro formazione
OCCUPAZIONE • L’assessore albese al lavoro, Olindo Cervella, è anche proprietario di un’impresa tessile di medie dimensioni. Inoltre, è presidente di Apro, la scuola di formazione professionale che ogni anni prepara centinaia di giovani al mondo lavorativo. Cervella appare perciò una delle persone-chiave utili a comprendere l’universo produttivo e occupazionale locale: lo abbiamo incontrato per parlare di apprendistato, precariato e futuro.
Molti imprenditori “usano” l’apprendistato per pagare meno gli operai e per poi liquidarli una volta scaduto il contratto.
Qual è la situazione albese, Cervella? «Ancora troppo sovente i nostri imprenditori speculano sul lavoratore. Più che dall’apprendistato, il problema è dato dal precariato: il datore assume per cicli di tempo brevi, senza soluzione di continuità. Il mercato diventa incerto e frammentario. Bisognerebbe adottare provvedimenti, com’è avvenuto, ad esempio, in Australia: il lavoro precario dovrebbe costare di più all’imprenditore, in modo da disincentivare le assunzioni a breve termine. Credo che il ministro del lavoro Elsa Fornero stia progettando soluzioni in tale direzione».
Le nostre aziende investono sulla formazione dei giovani? «Un tempo esistevano incentivi per le aziende che mandavano gli apprendisti nelle scuole di formazione per specializzarsi, affrontare un periodo di tirocinio. Oggi le provvidenze sono venute meno. Assistiamo a una riduzione massiccia degli imprenditori disposti a investire sulla crescita dell’apprendista, un percorso dal costo sproporzionato».
Insomma, la situazione non contribuisce a migliorare il futuro dei giovani. «Non è solo il lavoro a mancare (la recessione è indiscutibile, pervasiva), ma è la “qualità attesa del lavoro” a risultare problematica. I giovani italiani – pure gli albesi – sempre più spesso non si accontentano, hanno standard elevati ed esigenti. Ad esempio, nella mia impresa ho 46 dipendenti: 22 sono stranieri, alcuni in posizioni di rilievo. Perché questa sproporzione? Per questioni di merito, di entusiasmo e di disponibilità (per esempio, a fare il magazziniere), che i nostri giovani spesso non hanno. Un datore di lavoro non fa discriminazioni etniche o religiose nell’assumere i dipendenti: guarda il merito».
Sta dicendo che la colpa è dei giovani? «Non si può generalizzare e, ripeto, non nego la pesantezza della crisi. Eppure, manca l’intraprendenza. La vicenda di Apro servizi è emblematica: dopo i tagli, i dipendenti che cercavamo di ricollocare hanno rifiutato la nuova offerta per incompatibilità tra le proprie esigenze e l’orario».
m.v.
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