La breve vicenda di Marta e delle fragilità dei giovani

La breve vicenda di Marta e delle fragilità dei giovani

La struttura stessa della scuola superiore genera molta ansia negli studenti, specie in quelli meno forti

LA STORIA Marta ha 26 anni. Abita ad Alba e da due anni ha terminato la laurea triennale in lingue e letterature straniere. Per lei il liceo è stato difficile.

«La struttura della scuola superiore genera molta ansia negli studenti. Specie in quelli fragili», racconta. Nelle sue parole troviamo un sollievo, quello svuotamento di chi ha sofferto a lungo e ne è scampato. Prosegue Marta: «Ogni preparazione a compito in classe, verifica o prova era vissuta come un pesante dovere. Ricordo lo stringersi del petto e il sudore dei giorni precedenti, le notti in bianco. Nei periodi finali del secondo quadrimestre arrivavo a pesare 45 chilogrammi. Ovvio, non apprendevo nulla: se lo studio diventa un obbligo (con tanto di minaccia punitiva, visto che i voti e la possibilità di bocciatura pesavano su di me come una spada di Damocle) invece che un piacere, il cervello non riesce a costruisce connessioni. Quindi non s’impara nulla, se non il desiderio di fuggire il prima possibile. Perciò dopo l’esame di maturità sperimentai una forte crisi. Non dormivo, mangiavo poco. Ero sempre triste. Non ne volli sapere di proseguire gli studi. Le università propinavano le proprie presentazioni come uno stacchetto pubblicitario, lodando questo o quell’indirizzo di laurea senza spiegare che cosa “saremmo stati” nel mondo, cosa avremmo fatto dopo il percorso. Mi sentivo, in una parola, abbandonata. Di notte, nel mio letto, sognai per due anni i professori del liceo. La verità è una: se sei un carattere forte, alle superiori te la cavi benissimo. Ma se sei fragile (avremo mai il diritto a essere fragili, a non essere sempre potenti e sicuri senza sentirci sbagliati?) i cinque anni di liceo possono rappresentare un trauma. Trascorsi i due anni dopo il diploma a casa, con i miei genitori. Ero intelligente, me lo dicevano tutti. Andavo bene in matematica e soprattutto in lingue. Ma rifiutavo di continuare a studiare. Vivevo questa possibilità come un incubo. Feci piccoli lavoretti: cameriera, donna delle pulizie. Fino a quando mi decisi, su sollecito di un’amica, a iscrivermi all’università. Oggi sono felice, ma riconosco che noi studenti, forse noi studenti più fragili, troppo spesso veniamo semplicemente lasciati soli».

Matteo Viberti

Gli early schools leavers (quanti lasciano la scuola prima del diploma) sono tredici su cento, ma l’Europa vuole arrivare a dieci entro il 2020

Con la ricercatrice di Ires (Istituto di ricerche economiche e sociali per il Piemonte) Luisa Donato commentiamo i dati appena comunicati dalla Regione, relativi al progetto Obiettivo orientamento.

Partiamo da uno dei numeri più critici che interessano il mondo della formazione: l’abbandono scolastico. Gli studenti che lasciano precocemente il percorso formativo possono andare incontro a problematiche sul piano esistenziale e lavorativo. Come se la cava la provincia di Cuneo su questo fronte, Donato?

«L’obiettivo primo dell’azione di accompagnamento dei ragazzi è contenere la dispersione scolastica, orientando l’individuo in modo preventivo. Nel progetto della Regione sul tema a Cuneo è stato coinvolto il 30% dei 12-15enni:  vale a dire una cifra molto elevata. Nella provincia Granda in effetti
il parametro dell’abbandono scolastico risulta positivo se comparato a quello del resto d’Italia. I cosiddetti early schools leavers (coloro che lasciano la scuola in modo prematuro) sono
il 12,9%, una cifra che a livello nazionale tocca il 14%. In Piemonte invece l’andamento scolastico risulta migliore rispetto alla provincia di Cuneo, con una media percentuale dell’11,3%. Anche l’area metropolitana di Torino raggiunge un risultato positivo, con una media del 9%. L’obiettivo europeo è quello di raggiungere la soglia del 10% entro il 2020. Quindi la provincia di Cuneo deve ancora lavorare molto sul tema. A livello piemontese la popolazione femminile ha già raggiunto questo risultato, mentre quella maschile procede con maggiore difficoltà».

Tornando alla provincia di Cuneo, emerge un tasso di abbandono scolastico contenuto, ma che comunque coinvolge circa una persona su otto. Come si può spiegare questo dato?

«In primo luogo dobbiamo almeno considerare come nel tempo Cuneo mostri un andamento migliorativo: nel biennio 2012-2013 il tasso di abbandono scolastico era pari al 17%. Le campagne di prevenzione stanno dunque sortendo i loro frutti. A questo bisogna aggiungere un altro fattore: la disoccupazione giovanile in provincia (per quanto riguarda i giovani fino a 24 anni) rimane al 23%. È un dato inferiore rispetto al Piemonte (32,9%), anche perché il tessuto produttivo della Granda si dimostra più dinamico e virtuoso. Eppure, la maggiore disponibilità di occupazione potrebbe indurre gli studenti a lasciare la scuola più facilmente e volentieri rispetto ai coetanei che abitano in altre aree geografiche, secondo un pensiero del tipo: “Se posso trovare facilmente lavoro, perché proseguire la fatica degli studi e della formazione?”».

v.g.

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