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Scopriamo le origini del termine piemontese “Boracin”

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ABITARE IL PIEMONTESE

Boracin: Burattino, marionetta, persona condizionabile, stolta, senza idee chiare. Individuo non pensante

Così come non tutti identificano la bambola fatta di toppe e stracci riempiti con segatura come bivàta, allo stesso modo gran parte dei piemontesi discuteranno senza quasi mai venirne a capo su come chiamare lo spaventapasseri: boracio, babacio, patacio, matafàn, buatass, paȓa-ghé, sbaruva-pàssoȓe.
Tutte parole valide e verificate da differenti zone… e ce ne sarebbero ancora! Non solo: tra queste, ve ne sono alcune che hanno una varietà di significato talmente ampia che è necessario conoscere il contesto per capire quale sfumatura applicare. La parola di oggi, è un diminutivo: boracin (dove la “o” si legge “u”). Diminutivo perché, una persona che se lo sente dire, non ha neppure la dignità di essere chiamato con il suo nome corretto, tanto è denigrato, tanto è piccola la considerazione che ne si può avere.

C’è da dire anzitutto che, se vogliamo fare una traduzione letterale, “boracin” indica né più né meno di un burattino, un fantoccio, un pupazzo, marionetta… ma come ci insegnano alcune figure retoriche, questa parola assume un giudizio di sottomissione verso una persona stolta, una marionetta vivente che, senza personalità, si fa influenzare da chi ha intorno; il boracin non pensa; il boracin non sa difendere le proprie idee, ammesso che ne abbia.
Può essere il caso di un socio in affari che non ha polso per giungere agli obiettivi commerciali prefissati; un marito che debole di carisma si fa sballottare qua e là da una moglie un po’ troppo dispotica; un insegnante che fa fare di sé ciò che vuole dagli allievi… insomma chi non conosce almeno un boracin in un qualunque rango sociale?

Ci avviciniamo alla settimana del carnevale, del carnasciale dove avviene che in alcune piazze è ancora tradizione il falò con la combustione del pupazzo. E a proposito, la parola di oggi, viene pronunciata nella commedia “Carvé” di Oscar Barile dove il nipote Davide (che interpreto io stesso con molta gratitudine, in un flusso di coscienza sulla propria vita), sostiene quanto ad un certo punto ci si trovi costretti a fare i conti tutti i giorni con maschere e fantocci.

Paolo Tibaldi

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