Un esercito di badanti e colf nelle nostre case

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LAVORO DOMESTICO «Nel mio Paese ero una parrucchiera, ma in Italia il mio attestato non è riconosciuto e dovrei lavorare come apprendista. Per anni sono stata attiva nel settore della ristorazione, ma era troppo incerto e ho iniziato a guardare altrove: così, oggi sono al mio secondo impiego come badante». Sara è originaria di Santo Domingo. Da due anni si prende cura di un’anziana albese, con la quale convive. Ogni due settimane, quando arriva il weekend, prende il treno e raggiunge la cittadina alle porte di Torino in cui l’attende sua figlia, che ha 12 anni.

«Quando sono ad Alba, lei vive con il papà: vederla così poco non è una scelta facile, ma per fortuna c’è la tecnologia e rimaniamo in contatto grazie alle videochiamate. Mia figlia è vivace, ma anche comprensiva e matura: sa che sua madre si trova via per lavoro e che si impegna tanto anche per lei», racconta la donna. «Ho iniziato a lavorare in questo settore perché sapevo che c’era molta richiesta di badanti. Non sono una donna che accetta di rimanere con le mani in mano. Sono arrivata ad Alba grazie a una conoscente: è stata la mia prima esperienza. Poi, ho trovato l’impiego attuale e devo dire che sono stata davvero fortunata, perché vado molto d’accordo con la signora di cui mi prendo cura. Il lavoro di accudimento non è semplice, perché si vive con persone fragili: ci vogliono umanità e attenzione. Sento molto anche il senso di responsabilità, perché parliamo di anziani. I figli della signora sono molto presenti nella sua vita e posso contare sulla loro collaborazione: quando si è del tutto da soli, è ancora più difficile».

Ad Alba, nei momenti liberi, Sara riesce a frequentare la scuola media al Cpia, il Centro provinciale per l’istruzione degli adulti. «Per me è molto importante, perché ho tentato più volte di conseguire il diploma da quando sono in Italia, per poi rinunciarci a causa del lavoro. Mi rendo conto che non è scontato riuscire a ritagliarsi spazi per sé stessi, quando si fa questo mestiere. Per questo mi considero molto fortunata».

In Italia i lavoratori domestici ufficialmente registrati sono 920.722 (ma se ne possono ipotizzare almeno il doppio: si veda l’articolo a sinistra, ndr), secondo i dati aggiornati al 2020, con un incremento del 7,5 per cento rispetto al 2019. Lo dice l’osservatorio Domina per il lavoro domestico, l’associazione nazionale che rappresenta le famiglie dei datori d’impiego, che ogni anno realizza un rapporto sull’andamento del comparto, in collaborazione con la fondazione Leone Moressa.

I nuovi dati sono stati presentati di recente: a livello nazionale, il 52,3 per cento dei lavoratori sono colf e il 47,5 per cento badanti. L’88 per cento è costituito da donne, ma è in evidente crescita la quota maschile. La maggior parte dei lavoratori del settore, il 34 per cento per l’esattezza, hanno tra 50 e 59 anni. La seconda fascia d’età più rappresentata è quella tra 40 e 49 anni, che assorbe quasi il 27 per cento. Il 68,8 per cento di chi lavora nelle case degli italiani è immigrato, con in testa Romania, Ucraina e Filippine. Di conseguenza, il 31,2 per cento è rappresentato da italiani, secondo un tendenza in costante aumento negli ultimi anni.

L’osservatorio Domina si concentra anche sulla realtà delle singole regioni. Così si scopre che in Piemonte i lavoratori domestici regolari sono 72.835: il 52 per cento sono colf e il 48 per cento sono badanti. Nel 68 per cento dei casi si tratta di donne o uomini di origine straniera, provenienti in particolare dall’Est Europa, mentre per il restante 31 per cento sono italiani. Dopo Torino, Cuneo è la seconda provincia per presenza di addetti al settore, con 3.950 colf regolarmente assunte, per l’esattezza 6,8 ogni mille abitanti, e 4.655 badanti, cioè 9,9 ogni 100 anziani con più di 79 anni. Per quanto riguarda la tipologia di lavoro, solo il 19,6 per cento degli assistenti domestici sono conviventi. Se ci si pone invece dal punto di vista dei datori di lavoro, in totale sono 76.430, sempre rimanendo solo all’interno del lavoro regolare: a livello di budget, si stima che nel 2020 le famiglie piemontesi abbiano speso 615 milioni di euro per la retribuzione dei lavoratori domestici, tra stipendi, contributi e Tfr (trattamento di fine rapporto).

Francesca Pinaffo

Oltre 1 milione in nero: così lo Stato risparmia sull’assistenza

Parlare di circa 921mila lavoratori domestici in Italia significa vedere solo la punta di un indotto economico che da solo contribuisce per l’1,1 per cento al prodotto interno lordo del Paese, generando un valore di 16,2 miliardi di euro, secondo il rapporto aggiornato al 2020 dell’osservatorio Domina.

Il dato che più salta agli occhi è che il lavoro domestico irregolare vale il 57 per cento: vuol dire che, su un totale stimato di 2,1 milioni di lavoratori del settore oltre un milione non esistono su alcun documento, non percepiscono contributi e non hanno tutele. Sono un esercito di persone che si prende cura delle case e degli anziani italiani, svolgendo un ruolo essenziale: nonostante ciò, sono invisibili e operano secondo accordi stipulati a voce.

L’esempio più evidente è quello delle badanti: in un Paese che investe solo il 2,7 per cento della spesa pubblica per le famiglie – a fronte di una media europea del 4,2 per cento – il lavoro domestico consente allo Stato italiano di risparmiare 11,6 miliardi di euro per la cura degli anziani, che altrimenti peserebbero sul sistema sanitario e sociale, con l’urgenza di dovere potenziare sia le reti ospedaliere e ambulatoriali che, soprattutto, l’assistenza domiciliare, le cui lacune devono essere colmate dalle stesse famiglie tramite la loro organizzazione.

f.p.

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