Allontanamento zero: la norma che vuole far restare i bimbi a casa

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LA NORMA «Quando guardavo il bambino che io e la mia compagna, per un anno di vita, abbiamo tenuto in affido, vedevo in lui uno strappo. Da una parte era felice di essere con noi, perché sapeva che nella sua famiglia di origine non c’erano le condizioni per crescere bene, tra continue bugie, manipolazioni, problemi con l’alcol e tanto altro. Non vogliamo colpevolizzare i genitori biologici: anche loro provenivano da una storia traumatica. Il bambino, però, si sentiva come un fiore estratto dal proprio terreno di crescita: aveva le radici recise, voleva tornare da madre, padre e i suoi fratelli perché, ci diceva, “io appartengo a loro e loro appartengono a me”. Questa è la difficoltà vissuta oggi da migliaia di bambini: essere divisi a metà».

Rosy è una donna di 46 anni, abita ad Alba e descrive, con la sua testimonianza, le soggettività dietro l’esperienza dell’affido. Le sue sono parole d’attualità, visto che il 25 ottobre il Consiglio regionale ha approvato la legge chiamata Allontanamento zero voluta dalla maggioranza di centrodestra e in particolare dall’assessora all’infanzia Chiara Caucino. Nelle intenzioni dei legislatori la misura vuole rinforzare il sostegno a genitorialità e famiglie, consentendo al bambino di crescere nel proprio ambiente di nascita, scongiurando – laddove possibile – gli allontanamenti.

Lo stanziamento complessivo per la norma ammonta a 44 milioni e mezzo di euro da usare nel biennio 2023-24. Per la maggioranza l’iniziativa nasce dall’analisi dei dati ufficiali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, secondo cui la media nazionale degli allontanamenti di minori dalle famiglie di origine è del 2,7 per mille, mentre in Piemonte raggiunge il 3,9. Spiega l’assessora Caucino: «L’80 per cento delle separazioni è evitabile, con un’insieme di azioni e interventi precoci e intensivi, anche di natura economica, realizzati attraverso programmi educativi mirati per i nuclei». Fra le misure, la legge stabilisce che il Progetto educativo familiare (o Pef, il documento nato per valutare il recupero delle facoltà genitoriali da parte del nucleo d’origine del giovanissimo dato in affido) non dovrà avere durata inferiore a sei mesi; sono previsti anche aiuti economici alle realtà in difficoltà e gli assistenti sociali dovranno lavorare a fianco con gli altri operatori sociali, in maniera da integrare gli sforzi, con delle nuove modalità di monitoraggio del processo.

Cuneo rimane zona rossa fino al calare dei contagiL’opposizione è tuttavia insorta, affermando che Allontanamento zero potrebbe risultare molto dannoso per il benessere di minori presi in carico. Ha spiegato il consigliere regionale del Partito democratico, ed ex sindaco di Alba, Maurizio Marello: «L’operazione è nata per una strumentalizzazione politica, mistificando il problema e mutandone la portata. Il sistema piemontese, e soprattutto quello della provincia di Cuneo (l’area con più affidi in regione) funziona benissimo e ogni anno consente a centinaia di minori di trovare cure adeguate e accoglienza, per poter affrontare eventuali periodi di difficoltà della propria famiglia d’origine».

Secondo il politico albese, inoltre, «la maggioranza ha insistito sull’importanza degli aiuti ai genitori, in caso di indigenza economica: la povertà di un nucleo non è mai un criterio sufficiente a determinare il distacco di un minore. Devono esistere situazioni di grave deprivazione, maltrattamenti o altre difficoltà relazionali, per avviare le pratiche. Infine, la legge rende difficoltosa l’accoglienza in un’altra famiglia, per il minore che ne ha bisogno mentre la tempestività, in questi casi, è importantissima, altrimenti si rischia di non tutelarlo».

Critiche esprime Marello, anche su alcune considerazioni dell’assessora Caucino: «Avrebbe detto di aver visto, con i propri occhi, molte comunità residenziali che non funzionano: se è così aiutiamo queste strutture a svolgere meglio i loro compiti, oppure le chiudiamo, ma non buttiamo all’aria istituti o percorsi importanti. Infine un allontanamento non è di per sé negativo: un indice elevato di affidi, in una determinata area, può anche essere la spia di qualcosa che invece funziona. Un sistema in grado di vigilare sui minori e accompagnarli nel loro percorso di crescita». Conclude Marello: «La nostra valutazione del provvedimento è negativa, sia per il contenuto che per lo spirito con cui questa azione politica è stata portata avanti».

Monica Canalis, consigliera regionale in forza ai Dem a palazzo Lascaris, ha aggiunto: «Da alcuni giorni le famiglie piemontesi sono più sole, gli interessi dei minori subordinati a quelli degli adulti e l’affido è ufficialmente sotto attacco. Allontanamento zero manda in frantumi queste conquiste e mette una bandierina ideologica, fondata sull’esaltazione dei legami di sangue e sulla concezione della famiglia come mondo privato idealizzato in cui nessuno si deve intromettere». Secondo la consigliera, la norma permette «alla destra di sventolare un vessillo sulle macerie dei diritti e le sofferenze dei bambini, ma non fa i conti con una realtà complessa e con i vincoli giuridici sovraregionali».

 Roberto Aria

Trentadue ragazzi seguiti nell’area dell’Asl Cuneo 2

L’affido è una procedura complessa, si avvia quando una famiglia attraversa un periodo di difficoltà e, per molteplici ragioni, non può prendersi cura dei figli: il bambino viene temporaneamente accolto da un altro nucleo, la cosiddetta famiglia affidataria. La sola difficoltà economica non è un fattore sufficiente a disporre la pratica di affido: devono esserci problemi di una certa entità nella sfera delle relazioni. Diviene frequente nei casi in cui, nel nucleo d’origine, vi siano dipendenze, disturbi psicologici e, nelle situazioni più gravi, maltrattamenti e abusi.

In Piemonte i minori coinvolti in questo percorso di uscita temporanea dalla propria realtà d’origine erano circa 2.600 nel 2018, scesi a 2.300 nel 2020, mentre nel 2021 i numeri sono stati simili. Sono invece 53mila i bambini seguiti in famiglia, quasi uno su 10. Nel territorio di competenza del consorzio socioassistenziale Alba, Langhe e Roero, lo scorso anno, erano attivi 32 affidamenti residenziali, che prevedono il trasferimento temporaneo del minore, presso un nucleo genitoriale: alcuni sono stati avviati in situazioni di emergenza, per permettere ai bambini coinvolti di ricevere le cure adeguate, altri risultavano già in corso nel 2020.

Spiega Luca Anolli, responsabile dell’area minori del- l’ente assistenziale: «Questa tipologia di interventi si attua in situazioni di gravi difficoltà nella gestione educativa dei figli, da parte dei genitori. Gli adulti non riescono a seguirli nel loro percorso di crescita, a volte in concomitanza con problematiche di natura sanitaria o giudiziaria». Gli affidamenti diurni di minori, nel 2021, sono stati 62, mentre, nel complesso, circa il 70 per cento dei percorsi ha coinvolto bambini con disabilità: l’affido sostiene anche le famiglie di origine nella gestione del tempo libero alcuni pomeriggi a settimana oppure, con momenti di presenza in orario preserale, o per interi week-end di sollievo.  r.a.

L’assessora piemontese Chiara Caucino: «La maggior parte degli affidamenti può essere evitata»

L’assessore Caucino: «in arrivo un milione in piu’ dello scorso anno per i centri per le famiglie piemontesi. Promuoveremo progetti per combattere l’abuso dei video games a vantaggio dei giochi tradizionali».
Chiara Caucino

Abbiamo raggiunto Chiara Caucino, assessora regionale all’infanzia, per alcune domande sul provvedimento circa gli affidi, noto come Allontanamento zero. 

La legge ha sollevato critiche dell’opposizione regionale e di molti operatori sanitari. Quale la sua risposta?

«Ho visitato comunità e case famiglia: i bambini ai quali parlavo e stringevo le manine chiedevano di poter tornare dalla mamma e dal papà, da zia o dal nonno, ho assicurato loro che avrei fatto di tutto perché potesse essere così. La promessa è stata mantenuta: questa legge completa il quadro legislativo piemontese, introducendo supporti alle famiglie d’origine, rispettando il “diritto naturale” dei minori di poter vivere nel proprio nucleo familiare. La legge è stata spiegata e condivisa con i soggetti che operano nel sistema dei servizi: certamente non è stata una legge calata dall’alto».

Molti ritengono questa enfasi sulla famiglia di origine pericolosa, soprattutto quando non sussistono le condizioni per la cura del bambino.

«La maggior parte delle procedure può essere evitata. Secondo la legge attuale, prima di inserire l’infante in un nuovo nucleo, è necessario esplorare la possibilità di affidarlo ai parenti fino al quarto grado. Ma questa pratica non viene intrapresa, nella maggioranza dei casi: molte norme, talvolta, non vengono rispettate
in modo omogeneo. Con questa legge, tra l’altro insistiamo sul concetto di multidisciplinarietà, cioè il lavoro congiunto degli operatori e dei servizi che assistono il minore. Un’azione integrata si ha, non solo nel momento in cui si agisce a favore delle famiglie, ma anche quando si gestisce l’eventuale inefficacia di alcuni interventi. La strada dell’affido deve essere monitorata, offrendo delle garanzie aggiuntive nel momento in cui si opera a favore dei nuclei e relazionando qualora un intervento non risultasse efficace».

In altre parole, secondo la vostra prospettiva il sistema degli affidi in questo momento non funziona come dovrebbe.

«Oggi oltre 47 milioni di euro l’anno vengono impiegati per pagare le rette delle comunità. Possiamo intervenire su queste cifre, visto che oltre l’80 per cento degli allontanamenti si basa su motivazioni modificabili direttamente, senza avviare separazioni del minore dalla famiglia. In casi di abbandono o di estrema incuria, ovviamente, il distacco sarebbe auspicabile ma, se possibile, dobbiamo prevenirlo istituendo un progetto educativo e familiare adeguato, tempestivo nell’aiutare i genitori nei loro compiti di cura. Infine fra 400 e 600 minori rientrano, ogni anno, dai propri genitori, dopo anni di comunità: su quelle realtà non si è fatto nulla, non ci sono programmi di supporto. Che senso ha allontanare, se non si producono possibilità di cambiamento e non si forniscono adeguati strumenti ai familiari?».  r.a.

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