ABITARE IL PIEMONTESE Una stissa è un piccolo volume di liquido che in italiano è chiamato goccia. È ciò di cui parliamo questa settimana. È ciò che caratterizza la rubrica: tante piccole stisse. In piemontese questa parola non è limitata a sostantivo. È anche unità di misura, evidentemente per quantità assai morigerate: damne mach na stissa (dammene appena un goccio dove, in italiano, diventa curiosamente, ma lecitamente al maschile quando funge da unità di misura). Stissa diventa anche una coniugazione del verbo stissé (gocciolare). Se un muro perde acqua si dice sa muȓagna a stissa. Lo stesso accade quando comincia a piovere: l’annuncio di chi ravvisa i primi cenni di precipitazione sarà o stissa!
L’etimologia è incerta. Infatti, la versione più probabile, seppur non definitiva, pare arrivi dal latino stillam (goccia, stilla) e il latino volgare guttiare (gocciolare). Gutta cavat lapidem è una nota un’esortazione motivazionale a insistere, coniata dai latini e tramandata in alcune altre lingue, tanto è vero che in piemontese esiste qualcosa di molto simile: a fòrsa ‘d bàte, ȓa stissa a foȓa ȓa peȓa (a forza di battere, la goccia buca la pietra). Na stissa ch’a bàt è, invece, una goccia che batte, metafora di una rendita economica misera, ma costante.
Avrete già sentito il modo di dire a second ëd come ch’a bat ȓa stissa, o ndȓinta o fòȓa dȓa sotissa (a seconda di come batte la goccia, dentro o fuori alla salsiccia), l’emblema del sapersi barcamenare nella casualità di un accadimento. Il contesto è favolistico: si racconta di una tale in visita alla vicina di casa che, alle prese con la preparazione del pranzo, invitò l’ospite a fermarsi per mangiare insieme. Questa pare abbia risposto in questo modo poiché la signora aveva la goccia al naso in procinto di cadere liberamente. Come andò a finire? La goccia cadde sul cibo e la vicina, quatta quatta, tornò a casa propria per pranzare.
Paolo Tibaldi