ISTRUZIONE / 1 «Un giorno mi svegliai, guardai indietro e mi dissi: ho sbagliato tutto. Non le scelte che ho fatto, non le persone frequentate, non i sogni inseguiti, ma la scuola. Se avessi avuto qualcuno a indicarmi la via, non avrei mai frequentato ingegneria all’università. Mi sarei iscritto a lettere o a filosofia; mi sarei dedicato a inseguire il pensiero nelle sue forme e l’arte nelle sue manifestazioni, un’attitudine che sentivo fin da piccolo». Le parole di Mirko, 56 anni, impiegato in un’azienda albese, iniziano il nostro viaggio all’interno del mondo dell’istruzione.
Abbiamo realizzato un’inchiesta su un campione di un centinaio di lettori, che hanno risposto on-line e frontalmente a domande aperte e chiuse. Il grado d’istruzione rilevato è piuttosto elevato (in parte specchio dei nostri lettori digitali): l’8,5 per cento possiede la licenza media, il 52 per cento il diploma superiore, il 31 per cento la laurea e il 6 per cento ha frequentato un dottorato di ricerca o una scuola di specializzazione post-laurea. A prescindere dal percorso formativo delle persone, ci addentriamo in queste pagine in un’analisi che non indaga solo il livello culturale degli individui ma gli affetti, le emozioni, le opportunità perse e guadagnate in relazione agli studi compiuti. Emerge, così, nella vita di ognuno un periodo di formazione che per alcuni è stato un tesoro, per altri un inganno, per talaltri una transizione incapace di portare a una crescita individuale reale.
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Le difficoltà si registrano non solo tra gli studenti, ma anche nelle fasce più adulte, a iniziare dal mondo degli insegnanti. Fabrizio Manca, direttore dell’Ufficio scolastico del Piemonte, nelle scorse settimane ha affermato che otto insegnanti su dieci sono precari: «Da anni ci sono difficoltà nel trovare docenti in matematica e nell’area scientifica, ma si aggiunge un deficit anche in italiano, storia e geografia». Nell’ultimo anno infatti le assunzioni sono state soltanto 1.285, per una controparte di circa seimila supplenze. Altro problema riguarda l’anzianità progressiva dei docenti e lo scarso ricambio generazionale: in Italia, alla fine dello scorso anno scolastico sono andati in pensione 42mila docenti, 22mila dei quali per effetto dell’introduzione della cosiddetta quota 100. Si stima che quest’anno ci siano nel Paese 120mila cattedre libere, che verranno in gran parte occupate da supplenti, mentre le assunzioni previste non saranno sufficienti per compensare le carenze. Secondo l’annuale report Education at a glance, condotto nei Paesi dell’area Ocse, solo l’1 per cento dei docenti italiani ha meno di trent’anni, mentre poco più del 40 per cento ne ha meno di cinquanta: vuol dire che più della metà degli insegnanti ha dalla sua l’esperienza, ma può mancare di duttilità coi metodi innovativi.
Per altro verso, tornando al Piemonte, sono migliaia i neolaureati o i giovani che, esasperati dalla mancanza di lavoro, hanno scelto di iscriversi da settembre di quest’anno al cosiddetto Mad, cioè la “messa a disposizione”: per pochi mesi copriranno i buchi d’organico in classe, sostituiranno i docenti o svolgeranno il ruolo d’insegnante di sostegno nelle scuole, senza però avere la garanzia di un contratto stabile. La precarietà occupazionale che ne deriva è corresponsabile del basso livello percepito della qualità formativa. Nel nostro sondaggio, ad esempio, abbiamo posto la domanda: «Quanto pensi che l’istruzione sia importante per il futuro e le sorti della società umana?». Ottanta su cento hanno risposto che l’apprendimento nozionistico (ovvero basato sulla memorizzazione più che sulla condivisione, sul ragionamento e sul coinvolgimento emotivo e sociale degli alunni) non è più efficace.
Valerio Giuliano