Dolcetto, un generoso ma non facile vitigno

Dolcetto, un generoso ma non facile vitigno

ANALISI Il Dolcetto è un vitigno assai particolare, di non facile coltivazione, ma capace di riportare nei suoi frutti i caratteri propri del territorio su cui è coltivato. In Piemonte, nel tempo, si sono evolute differenti denominazioni, proprio a sottolineare le differenti zone di produzione. Il terreno fornisce peculiarità minerali, che le piante, se in ottime condizioni, sono in grado di recepire e trasmettere ai frutti come risultato del ciclo vegeto-riproduttivo.  Il clima ha una valenza di ancora maggiore incisività. Temperature ideali nei mesi primaverili-estivi, disponibilità idriche opportune ma non eccessive e quantità di luce adeguata consentono la produzione ideale degli elaborati da parte delle foglie e la regolarità del ciclo fenologico. Quest’ultimo, nel Dolcetto, è singolare, raccorciato. Il vitigno è tardivo a germogliare e discretamente precoce nel raggiungere la maturazione dei grappoli.

Ne consegue un tempo limitato in cui esso deve espletare nel migliore dei modi la successione di eventi fisiologici: dal germogliamento alla maturità degli acini. Il microclima locale influisce quindi in modo considerevole per questo vitigno. L’orografia delle numerose vallate definisce notevoli interazioni tra acqua, luce e calore nei diversi mesi e contrassegna ogni singola realtà con specificità uniche. Questa particolarità ha fatto sì che il Dolcetto fosse coltivato anche in terreni tendenzialmente poveri, superficiali, ricchi di sabbia e a quote medio-alte: per esempio le zone più elevate delle Langhe, oppure dove, per altre ragioni, il calo delle temperature autunnali era altrettanto precoce, come nelle Langhe monregalesi. Avvalendosi del suo ciclo vegetativo non troppo lungo, il Dolcetto ha reso produzioni di buona qualità ovunque, rimarcando tuttavia sempre le specificità del territorio.

Essendo il tempo disponibile definito e contenuto e il ciclo della vite in genere suddiviso in una prima fase di sviluppo vegetativo e una seconda di accumulo degli zuccheri, è importante che quella iniziale si completi in modo ideale ma non richieda troppi giorni, lasciando più spazio alla seconda. È altrettanto importante che i due momenti siano ben distinti: l’arresto dell’uno divenga l’avvio per il secondo, senza sovrapposizione. Ciò si realizza meglio se i terreni non inducono eccessi di vigoria. Le piante vecchie, per loro natura, già rappresentano la condizione per la quale questo vitigno trova l’ideale qualitativo per la propria uva. Utili sono le esposizioni solatie ma è opportuno evitare il riscaldamento dei grappoli: con frequenza si potrebbero verificare anticipi di maturazione e conseguente appassimento degli acini.

I terreni più adatti sono quelli sciolti – con una media percentuale di sabbia e perciò permeabili all’acqua – certo non asfittici o con troppa argilla. Buona dotazione di sabbia e stratificazioni nel sottosuolo di molte zone delle Langhe conferiscono una fertilità contenuta, ma una discreta e continua disponibilità di risorsa idrica nei mesi caldi. La regimazione dell’acqua è un elemento fondamentale: se in eccesso, le fisiopatie che ne derivano possono essere notevoli a discapito della vegetazione e della qualità; se fosse carente, con troppo anticipo avverrebbero l’arresto della spinta vegetativa e in seguito la lignificazione dei germogli. La maturazione dei grappoli a temperature troppo elevate sarebbe a discapito della qualità.

Un’altra particolarità è una certa sensibilità alla presenza nel suolo del calcio. Questo elemento è determinante nel complesso nutrizionale della vite. Esso è assimilato in grande quantità e la sua presenza concorre alla formazione del quadro aromatico. Tuttavia, nei nostri terreni, già di per sé calcarei, può accadere che la troppa disponibilità di questo elemento divenga uno squilibrio nutritivo per l’assimilazione del ferro e quindi per l’attività fotosintetica, con il conseguente ingiallimento delle piante e la comparsa della ben nota clorosi ferrica da calcare. Per tutte queste ragioni, un buon vigneto di Dolcetto si definisce già dalla nascita, valutando opportunamente, in relazione al terreno e micro-ambiente, la scelta per il portinnesto, la distanza di impianto e le strategie di coltivazione da adottare.

I principali caratteri descrittivi della pianta sono i germogli con internodi tendenzialmente corti, le foglie marcatamente lobate con le venature che tendono al rosso e i grappoli globosi nella parte alta che si restringono dalla metà in giù formando una punta evidente. È un vitigno molto produttivo e richiede, in antecedenza della raccolta, un’oculata opera di selezione dei frutti. I grappoli sono molto delicati, devono essere colti alla maturazione fisiologica, oltre alla quale vi può essere la facile e abbondante caduta degli acini.
Sulla base di tutte queste complessità, il Dolcetto è una cultivar difficile, ideale per i veri professionisti del vigneto. Quando la coltivazione è ottimale, i risultati sono sempre di eccellenza. In caso contrario, la mediocrità che ne potrebbe conseguire andrebbe a influire negativamente sulla conoscenza delle grandi potenzialità di questo vitigno.

Edoardo Monticelli

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