Abitare il piemontese: il mese di gennaio si chiude con la parola Parej

Significa: così, come, simile, uguale, tale, siffatto/a, in questo modo, perciò, pertanto.

Scopriamo perché la stufa in piemontese è detta potagé

ABITARE IL PIEMONTESE Un’amica ci ha fatto notare quante volte i piemontesi dicano parèj parlando tra loro. Pronunciare molti parèj in un discorso, pur con diverse accezioni, la dice lunga su quanto la gente piemontese sia incline da una parte alle similitudini, dall’altra a voler mimare qualcosa di concreto gesticolando durante la loquela. Parèj avrebbe origine dal latino pariculus (omogeneo, somigliante, uguale, allo stesso modo). Moltissime lingue neolatine ne conservano una qualche declinazione, a cominciare dal pareil francese.

Il significato è così, simile, tale, in questo modo, perciò, pertanto, ma può essere avverbio, aggettivo o congiunzione: vanta fé parèj (bisogna fare in questo modo), mai vist na person-a parèj (mai visto un tale persona), e parèj son andà a cà (perciò sono andato a casa). Interessante anche quel modo di dire con cui molti sono cresciuti: s’ët piàs o r’è parèj, s’ët piàs nen o r’è parèj istèss (se ti piace è così, se non ti piace è così lo stesso). Alcuni dicono paraj, altri parej, altri ancora paricc, paregg o parecc, queste ultime ricordano il pareggio in italiano, che vuol dire, appunto, pari o uguale. Talvolta c’è chi utilizza la versione femminile: dì mai pì na còsa parìja (non dire mai più una cosa così).

Notevole la locuzione pessimista lì parèj in risposta a una domanda! Sinonimo di tre e doi, significa così-così, né bene né male, una via di mezzo, piuttosto al ribasso. Pura filosofia. Un’altra meraviglia è la locuzione parèj e parèj, pronunciata durante la narrazione, in sostituzione a un fatto contorto, ma inutile da dettagliare. Dalle nostre parti, anziché dire (o scrivere) parèj d’ës là, esiste la forma contratta paid ës là (come quel tale), tipico incipit di una barzelletta.

Esse sempre ‘n viàge paid Gian Pitadé (essere sempre in viaggio come Gian Pitadé) si diceva per definire un vagabondo. L’espressione nacque dalla leggenda dell’Ebreo errante, condannato a errare (vagare) senza posa per avere offeso Gesù avviato al Calvario. Metafora diffusissima nel Medioevo, ha lasciato traccia in tutta la letteratura europea. In Italia Buoncompagno da Signa e Guido Bonatti, nel libro Historiae gli diedero il nome di Giovanni Buttadeo, da cui deriva PitadéE parèj s-ciao!

Paolo Tibaldi

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