Se il Tanaro è come il Grand canyon

Secondo il naturalista Edmondo Bonelli il fiume appare sempre più arido e incavato, con la progressiva estinzione del bosco fluviale e della naturale biodiversità

TANARO TESORO DA SALVARE Il Tanaro un tempo era un grande polmone verde all’interno della città, grazie a una popolazione ittica forte e a zone boschive umide sui terreni adiacenti, abitate da numerose specie animali. Un ambiente unico e diversificato, ma altrettanto fragile e soggetto a processi di deterioramento, se non custodito con attenzione. L’utilizzo incontrollato di prodotti chimici in agricoltura e i prelievi massicci di sabbia e ghiaia dai terreni a ridosso del fiume (prima che la crisi dell’edilizia riducesse notevolmente l’impatto delle attività estrattive), ne ha impoverito negli ultimi decenni la biodiversità. Si aggiunga, poi, il cambiamento climatico, che ha determinato l’arrivo di piante non autoctone. Ma se i danni sono stati fatti, non tutto è perduto: rimangono alcune zone di grande valore naturalistico, di certo non abbastanza conosciute e valorizzate. Parliamo delle rocche di Barbaresco, degli stagni di Mogliasso o dell’area denominata Fiume Tanaro e stagni di Neive, protetta dalla direttiva uccelli dell’Unione europea, vista la presenza di specie di rilievo che vi nidificano. Anche riguardo alla fauna ittica, qualche varietà locale rimane, con la possibilità di rilanciare il concetto di pesca nel fiume, oggi quasi scomparso, se non in alcuni – pochissimi – punti.

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Abbiamo affrontato questi aspetti del rapporto tra Alba e il Tanaro con Edmondo Bonelli, naturalista, agronomo specializzato in viticoltura e grande frequentatore del fiume, vista la sua passione per la pesca. Bonelli ha condotto importanti ricerche dal punto di vista paleontologico, fino alla scoperta dei reperti fossili emersi dal fiume: il mastodonte di Verduno e la balenottera di Santa Vittoria, oggi esposti al museo Eusebio di Alba.

Bonelli, partiamo dalla fauna ittica: è vero che in Tanaro non ci sono più pesci?

«Non è vero: ci sono stati dei cambiamenti, ma i pesci in Tanaro non mancano. Il tratto albese del fiume è sempre stato ricco e interessante da questo punto di vista: dal momento che si tratta di un ambiente a metà tra la pianura e la montagna, si è creata la situazione ideale per la convivenza di diverse specie, come le carpe e le trote, che si possono pescare tuttora. In particolare, riguardo a queste ultime, sono presenti le rarissime trote marmorate e in certi punti anche le trote fario. Se da un lato la presenza di queste varietà è un segnale positivo, dall’altro va detto che sono sparite negli anni alcune specie molto comuni dalle nostre parti e ne sono arrivate altre non autoctone. Riguardo alle prime, oggi non ci sono più anguille, che non riescono a risalire la corrente a causa degli sbarramenti che incontrano lungo il corso del fiume. La pesca dell’anguilla era invece tipica del tratto albese del Tanaro: nelle notti d’estate, era un tempo comune vedere le luci delle barche sul fiume. A proposito delle nuove specie, si tratta soprattutto del barbo spagnolo e del pesce siluro, molto veloci e voraci, che mettono a dura prova la sopravvivenza delle varietà nostrane. Il siluro era già presente nel tratto alessandrino del fiume, arrivato con le diverse correnti o forse immesso artificialmente da alcuni pescatori».

Quindi è cambiato anche il concetto stesso di pesca?

«Proprio così. Il Tanaro è sempre stato molto apprezzato per la cosiddetta pesca alla passata, la tecnica per eccellenza dei nostri fiumi, che esige tempo e che sfrutta la corrente. Basti pensare che c’erano persone che arrivavano da Torino per pescare ad Alba. Negli ultimi anni, però, si è diffuso un concetto di pesca più immediato e artificiale, come accade nei tanti laghetti in cui vengono immessi pesci. Con l’evolversi di questa tendenza, c’è stata una diminuzione dei pescatori alla vecchia maniera, che oggi sono quasi del tutto scomparsi dal Tanaro. Rimane, nella zona del ponte di Pollenzo, qualcuno che si dedica alla pesca della carpa, varietà che esige un’acqua ferma e profonda: visto che il Tanaro è un fiume dalla forte corrente, sono pochissimi i punti nell’Albese adatti a questo tipo di attività. Quindi i pesci ci sono, ma mancano i pescatori: bisognerebbe riscoprire quest’attività per il tempo libero, a partire dai bambini e dai ragazzi. Non dimentichiamoci che la presenza di pescatori lungo il fiume è un valido deterrente contro attività illegali, come lo scarico di rifiuti».

Francesca Pinaffo

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Edmondo Bonelli

Originario di Grinzane Cavour, Edmondo Bonelli è un giovane naturalista e agronomo, specializzato in viticoltura. Appassionato di ambiente a trecentosessanta gradi, ha anche dato vita insieme al trifolao Carlo Marenda al progetto Save the truffle, per proteggere il tartufo bianco d’Alba dall’agricoltura intensiva e da una serie di fattori antropici che possono metterne a rischio la stessa sopravvivenza. Ma è la pesca la sua più grande passione: per questo è da sempre un grande frequentatore del Tanaro, di cui ha osservato l’evoluzione negli anni, con occhio critico, con l’attenzione rivolta alla flora e alla fauna. Ma non solo, perché unendo l’interesse per il fiume alle sue ricerche in campo paleontologico, ha portato alla luce i due fossili più importanti emersi dal Tanaro: il mastodonte di Verduno e la balenottera di Santa Vittoria, oggi entrambi esposti al museo Eusebio di Alba.

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