Drocco: «Chi utilizza glifosato nuoce gravemente a tutti noi»

Il produttore langarolo non si nasconde e punta il dito contro chi ancora non ha bandito la chimica

Drocco: «Chi utilizza glifosato nuoce gravemente a tutti noi»

AMBIENTE «Non dobbiamo demonizzare chi fino a pochi decenni fa usava sostanze chimiche come il glifosato. Negli anni Settanta e Ottanta arrivava il rappresentante, una persona “che aveva studiato”, e con una buona parlantina decantava ai nostri padri, persone semplici, con solo un’istruzione di base, le proprietà quasi miracolose del prodotto. Diceva loro di utilizzare il glifosato senza preoccuparsi, perché avrebbe seccato l’erba, ma toccando terra sarebbe scomparso “magicamente” con i vantaggi di non dover zappare, di poter risparmiare tempo e manodopera, quindi denaro. Con il tempo e l’esperienza i nostri genitori hanno capito che la verità era ben diversa e che quella sostanza chimica non solo danneggiava il terreno, ma inquinava le falde acquifere e causava mali ingenti all’ambiente. Oggi non ci sono più scuse: non utilizzare il glifosato è il minimo che si possa fare».

Parla Roberto Drocco, titolare della cantina Drocco Luigi di Alba, il quale non usa mezzi termini e punta il dito contro chi ancora in questo momento cruciale per gli equilibri ambientali del pianeta utilizza prodotti chimici in vigna, come il glifosato.

«I prodotti chimici fanno male alla vite, fanno male a noi che lavoriamo nei vigneti e fanno male a chi beve il nostro vino. E sfatiamo anche un mito: oggi, i contadini nemmeno hanno più convenienza a usarli. La mia azienda dal 2009 è entrata nel progetto che sarebbe poi diventato The green experience, un accordo per la sostenibilità agricola che Coldiretti Cuneo propone agli imprenditori del vino fra Langhe e Roero. Vi assicuro che non tornerei mai indietro». Il tema della nocività del glifosato, inventato nel 1950 e immesso nel mercato nel 1970 dall’americana Monsanto, poi acquistata nel 2018 dalla Bayer, è sempre di estrema attualità. Come i lettori sanno, Gazzetta d’Alba è molto interessata all’argomento: la natura dev’essere difesa. Forse siamo sulla strada giusta. Anche la Germania ora volterà le spalle alla multinazionale, vietando l’uso del glifosato, come accade già in molti altri Paesi. Bayer, che ha dovuto cedere nei giorni scorsi, in risposta alle oltre 125mila cause che le sono state intentate per ottenere risarcimenti su tumori causati dal prodotto, dovrà pagare più di 10 miliardi di dollari, grazie ad accordi extragiudiziali raggiunti con 25 studi legali, mettendo fine a 95mila pratiche. Le persone che hanno fatto ricorso alla giustizia otterranno tra 5mila e 250mila dollari ciascuna a seconda dei casi, per un totale di 9,6 miliardi di dollari per danni dimostrati. Altri 1,25 miliardi sono stati stanziati per quelli che dovessero verificarsi in futuro: i risarcimenti saranno erogati tra la seconda metà di quest’anno e il 2021.

A fare giurisprudenza è stato il caso del custode di una scuola, Dewayne Johnson, malato di linfoma, che nel 2018 aveva ottenuto 289 milioni di dollari da una Corte californiana per non aver ricevuto informazioni sufficienti sui rischi del glifosato.

L’Italia ancora non ha deciso di passare il guado e non ha vietato il prodotto, nonostante la nocività sia ingente e sotto gli occhi di tutti.

«Come se non bastasse, abbiamo ripetuto gli erroracci fatti nei vigneti anche nei noccioleti, dove il glifosato è stato ed è ancora usato. Anche nella corilicoltura sta peraltro cambiando la sensibilità, ma la strada da percorrere è ancora molto lunga», aggiunge Drocco.

Il produttore albese tira le somme: «Bisogna essere categorici e dire che l’uso del glifosato non può essere tollerato: non è utile, non è necessario e ha effetti negativi su tutti, perché si inquinano le falde acquifere e l’ambiente. Inoltre, il prodotto causa l’erosione del terreno, favorendo le frane e pregiudicando la stabilità del vigneto. Dobbiamo dirlo e scriverlo a gran voce: possiamo e dobbiamo fare a meno del glifosato nelle nostre campagne, possiamo capire, come dicevo, i nostri padri che non ne conoscevano gli effetti negativi, ma i produttori di oggi non hanno giustificazioni».

La sfida verde di oltre un centinaio di vignaioli, con mille ettari di vigneti, 15 Doc e Docg in Langa e Roero

Roberto Drocco è uno dei 101 produttori che hanno aderito alla certificazione di Coldiretti The green experience, che si estende per un totale di mille ettari, 15 Doc e Docg in 28 Comuni di Langhe e Roero.

L’idea di lanciare il marchio è nata da un obiettivo: rimettere in discussione i canoni attuali della viticoltura, per arrivare a una gestione del vigneto basata sul terreno, con metodi di lotta integrati e sostenibili, in grado di prendersi cura del paesaggio collinare, conservandone le risorse naturali e allo stesso tempo puntando alla qualità dei vini. Un sistema in cui l’erba tra i filari non è più un agente infestante, ma un indicatore dello stato di salute dei vigneti e un’opportunità, con numerosi produttori che tra le viti sono tornati a piantare l’insalata e altre verdure.

Fabrizio Rapallino, responsabile di Coldiretti per la viticoltura in Granda spiega: «The green experience è una certificazione collettiva, integrata e sostenibile, dedicata ai vini piemontesi e creata per valorizzare la distintività dei metodi di produzione, per conservare le risorse naturali e per prendersi cura del paesaggio collinare».

Vietatissimo il glifosato, ma grande attenzione viene riservata anche ai vari trattamenti, puntando sulla lotta integrata e mettendo da parte la chimica. Due i livelli della certificazione, con la possibilità di essere certificati come biologici. «Questo territorio è cresciuto anche nella consapevolezza e non sono più tollerabili i filari gialli per il diserbante», aggiunge Rapallino.

Il marchio è nato nel 2015 ed è passato attraverso la formazione di tecnici specializzati, scoprendo un tema molto sentito tra i viticoltori. Rapallino: «A volte, ci siamo trovati in sale stracolme di produttori desiderosi di avvicinarsi a una coltura sostenibile. La novità è cambiare paradigma, invitando a effettuare trattamenti non quando c’è il parassita, ma quando è necessario. Bisogna iniziare a guardare la vite dalla radice e non dalla foglia. Il modello è il bosco: se riusciamo a curare le radici, avremo un impianto rigoglioso». Rinunciare alla chimica ha un costo: «Per le aziende vuol dire attrezzarsi con i macchinari e usare più manodopera per la gestione del sottofilare, ma gran parte dei produttori ha capito che conviene, per loro, per i consumatori e per la natura. La sfida è avere mezzi meno inquinanti, ma ci stiamo arrivando. Non ci sono ancora alternative al gasolio, per esempio. Ma le sperimentazioni per i trattori elettrici vanno avanti. Al momento dobbiamo limitarci ai decespugliatori».

Le alternative arrivano dalla natura: «Pensiamo che un pipistrello in una notte può catturare oltre tremila zanzare e che alcuni uccelli possono agire sui parassiti della vite. Dev’essere questo il futuro della viticoltura», prosegue il tecnico: «L’agricoltura è uno dei pochi settori che ha ancora da offrire posti di lavoro, in un periodo in cui l’emergenza Covid-19 ha messo in ginocchio industria, turismo e commercio. Giochiamo una grande sfida nei prossimi anni, una partita che passa attraverso la qualità del vino e la sostenibilità, che parte proprio dal nostro territorio con The green experience», conclude Rapallino.

Marcello Pasquero

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